Amore scaduto

venerdì 29 agosto 2008


Ovunque.
In uno spazio tra cielo e terra, senza il tempo per l’inganno.
In un giorno senza memoria che allunga la sua ombra, oltre.
In un istante lontano dal sogno e così appeso al reale che quasi è impossibile viverlo.
È una musica che suona senza orchestra, melodiosa e incompresa. Violini pizzicati senza archetto. È un tempo in 4/4 che non ha ritmo né suonatori.
Stava così, ora. Come una di quelle opere iniziate che non avrebbero mai avuto fine.
Uno sguardo all’orologio rotto, come a trovare comprensione perfino in qualcosa senza anima, uno alla tenda mossa dal vento, muta.
In attesa del niente, con la guerra dentro e mille domande in testa.
I capelli lunghi leggermente scomposti e arruffati dalla foga del sesso.
Forse il destino non le aveva regalato mai nessuna alternativa altrettanto eccitante e coinvolgente. Nulla che la facesse sentire cosi viva, corpo e anima.
Si erano presi ripetutamente fino a sfinirsi con un coinvolgimento e un’intesa mai assaporati prima.
La stanza di hotel che avevano scelto, con la fretta di aversi addosso per la prima e ultima volta, puntando il dito e volgendo gli occhi, dava su piazza Indipendenza.
Ma il rumore del traffico si perdeva nell’incrocio dei loro sguardi.
Erano rimasti schiacciati l’uno all’altro, a lungo, ascoltandosi i respiri, mentre la moquette soffice attutiva le urla delle loro anime, pesanti, che piano piano andavano cadendo vittime consapevoli di un’amore impossibile.
Perché le medicine, si sa, hanno innumerevoli effetti collaterali e una scadenza.
Anche quelle per l’anima.


Noi

lunedì 18 agosto 2008


Ho sentito l’odore del mare stasera.
Guardavo la tua foto, quella in cui hai il telefono in mano,quello con la cover rossa che ti avevo regalato io (ricordi?) e nelle narici mi è entrata la salsedine.
Non ci credo che tu non lo ricordi quel week-end.
Eravamo andati a cena da Adriano, in quella casa umida con i muri tutti storti, dove nemmeno ti potevi affacciare a respirare una boccata d’aria. A meno che tu non avessi voluto scambiare due chiacchiere con il vicino.
Quella parte di Genova Voltri è cosi.
O forse non solo quella parte.
Ma questo non lo posso sapere. non ci sono più stata.
Anzi si, una volta che tornando da un concerto l’uscita dell’autostrada Genova Ovest era chiusa e alle tre di notte mi sono ritrovata a passare di lì.
Poi mai più.
Ma non è un luogo da villeggiatura, tu che dici?
Era il primo vero caldo della stagione. Non mi ricordo perché non eravamo andati in moto.
Eppure eravamo soli.
Per dormire ci aveva lasciato la casa un collega di Adriano.
In una zona in periferia di Genova, mi pare che fosse vicino all’università.
E qui si aprono una serie di riflessioni che non fanno parte di questa storia.
Ricordi ancora più vecchi che riguardano il mio percorso di studi, che ti ho già raccontato mille volte ma che forse non hai mai nemmeno ascoltato.
Ci eravamo divertiti, comunque.
Due giornate di mare a Bergeggi, dalle parti di Savona.
Carina, pittoresca, e delicatamente colorata.

Era il primo bagno della stagione.
La spiaggia era gremita di gente, nonostante fossimo partiti presto.
Il sole era caldo e la sensazione dell’acqua di mare fresca sulla pelle era il paradiso.
Ci bastava poco per stare bene. Avevamo nuotato fino ad un’isoletta lì vicino. Io in gran forma, tu senza fiato.
Colpa delle sigarette, dicevi.
Sugli scogli a fare l’amore, perché a me in acqua non è mai piaciuto particolarmente, con il rischio che qualche sub ( si buttavano da lì per le immersioni) ci vedesse.
Ma noi stavamo bene, e non ce ne importava nulla.
La nuotata di rientro alla spiaggia è stata dura. Entrambi boccheggiavamo, ma non per colpa delle sigarette questa volta.
Con estrema e assoluta complicità.
Con quella voglia di starsi addosso, di guardarsi e farsi guardare come se fossimo stati da soli sulla faccia della terra.
Come se fossimo noi i proprietari di quell’angolo di cielo e volessimo preservarlo tale. Incontaminato, solo per noi.

Sensazione strana scrivere NOI.

Una volta quel noi esisteva davvero, neppure molto tempo fa. Ricordi?
Non puoi non ricordare nemmeno questo.
Non puoi lasciare sempre che i ricordi si sciolgano tra le dita.
Non ho fretta di conoscere la risposta.
Pensaci su. E poi dimmi che ti ricordi.
Dimmelo anche in silenzio se preferisci.
Per certe cose non servono le parole.
Ho sempre sperato che tu, come me, potessi attingere dalla forza dei tuoi ricordi per credere in un futuro di promesse che contengono tutto ciò che ancora non è accaduto.

A volte mi domando se il nostro amore non sia stato altro che un cercarsi per la pace dei nostri corpi.
Vorrei sperare che non sia davvero stato così.

Adesso vado. Anche se dovresti esserti già accorto che me ne sono andata da tempo.

Continuo a camminare, sola.
A volte corro, ma non sempre.
Chissà che un giorno la vita mi riporti al punto di partenza, per restituirci il nostro futuro.

Marras Giuseppe

domenica 10 agosto 2008


Si chiamava Marras Giuseppe.
Era uno dei più grandi possidenti delle terre dell’ Anglona.
Un uomo basso e tarchiato, con un odore acre di sudore anche nelle giornate fredde d’inverno.
Tutti prima o poi si erano scontrati con lui quanto meno verbalmente. Prepotente e ignorante cercava sempre la rissa.
E sempre la trovava.
Entrava nei bar con quell’atteggiamento da grande spaccone quale era, sputando tra i tavoli e trascinando gli anfibi sporchi di melma sul pavimento.
Capivi che tipo di persona era anche prima che aprisse bocca, e quando l’apriva non era una sorpresa sentire una parola preceduta e seguita da quattro bestemmie.

Il 31 dicembre 2001 una pallottola gli bucò lo stomaco.
Pioveva, non si vedeva ad un passo dal naso per la nebbia.
Non era giorno di caccia.
Ma qualcuno aveva fatto caccia grossa.
Pum pum. Due colpi e Giuseppe Marras aveva finito di essere l’uomo di merda che era sempre stato.
Uno allo stomaco, e per sicurezza uno sul fianco, quasi al rene, a quello che gli avevano trapiantato saltando liste d’attesa interminabili. Qualcuno diceva che l’ aveva comprato da un bambino sano a Perfugas, figlio di una misera famiglia di pastori.
Fatto sta che alla fine quel rene, comprato o no, glielo avevano fatto saltare.

Lo trovò Antonio Pintus, il suo tuttofare, una mezz’ora dopo.
Riverso a pancia in giù in mezzo ai maiali.
Al suo posto insomma, pensarono tutti quando venne divulgata la notizia.
Vennero interrogati tutti i cacciatori del suo paese e di quelli limitrofi.
Ispezionate tutte le case di possessori di fucili.
Anche quella di mio zio.
La sua arroganza prepotente era motivo sufficiente perché tutti gioissero della sua morte.
Tutti indiziati e potenziali colpevoli.
Ma alla fine tutti innocenti.
Su ‘ La Nuova Sardegna ’ fino al termine delle indagini nella pagina della cronaca nera gli veniva sempre riservato un trafiletto che aggiornava sul nulla in realtà, dato che alla fine la vicenda si è chiusa senza un colpevole.

Una di quelle storie che fin dalle prime battute preannuncia un doloroso finale.
Nessuno ha mai confessato di averlo fatto fuori, ma tutti hanno in silenzio ringraziato per la liberazione che tale generoso gesto ha regalato.

Soprattutto la moglie.
L’unica mai indagata, perché si sa che queste cose di vendette e faide, di fucilate in mezzo alla nebbia e risse nei bar,sono principalmente cose da uomini.


Borderline

martedì 5 agosto 2008


Il sole brucia, la testa scoppia.
Ti sei persa nella strada buia dei tuoi pensieri.
Cammini voltandoti ad ogni passo.
Scivolando su ricordi ormai troppe volte ripercorsi.
Senti il cuore che batte.
Forse non è il tuo, che si è fermato alle 11.50 di quella domenica mattina di sole, quando hai allungato le mani per bere.
Acqua fresca, dal sapore nuovo ed entusiasmante.
Poi in un baleno la testa gira, il caldo urla e l’acqua si fa di un sapore amaro. Mai provato prima, pensi. Ma lo sai anche tu che non è così.
Distratta prosegui per la tua via sacra, lottando contro demoni di un passato recente che non puoi cancellare.
Ma devi.
Volti pagina, perché su quella in corso non c’è più nulla da aggiungere. Non c’è più spazio.
Raccogli i capelli insieme a quel che resta dei tuoi pensieri.
Distante dalla luce di quel sole che per un attimo ti sembrava così vicino.


[Nota dell’Autore: “Sul treno, a volte, è bello viaggiare al contrario”]

Perchè...

sabato 2 agosto 2008

Perchè farti 1000 km, quando puoi fallire comodamente a casa tua?

(Gianfranco Marziano)

Stamattina mi sono svegliata con il sole nel cuore, nonostante tutto. Nonostante io sia a casa e lontana da tutto quel che avrei voluto raggiungere oggi.
Tra poco ,forse, decido di alzarmi da questo letto di noia e di andare. Dove non importa. intanto vado, così, magari, la smetto anche di mangiarmi le unghie.;)