Io gioco

venerdì 11 luglio 2008


Lo sapevo.
Mi avevano scelto anche quella domenica.
Del resto ero una delle più nuove.
Giovane, soda, poco usurata.
Avevo già preso qualche calcio importante ma ancora ero in forma per competizioni di un certo livello.
E mi avevano scelto. Di nuovo.
Tra l’invidia di alcune compagne che ormai venivano usate solo negli allenamenti.
Quella domenica avrei voluto nascondermi dietro qualche materasso , lì nel magazzino dove ci tenevano, pur di non giocare.
Ma non sono mai io a decidere.
Speravo quanto meno di non essere la prima a scendere in campo.
Speravo che mi avrebbero lasciato tra le mani del quarto uomo, o consegnato a uno dei sei raccattapalle. Magari non a quello brutto e antipatico che stava tutto a destra, sotto il cartellone della Tim.
Immersa nei miei pensieri e sotto lo sguardo indagatore dell’arbitro mi trovai dopo poco a centrocampo.
Come non detto.
Un fischio e via con i soliti calci.

Mi ricordo la mia prima partita.
Ventidue baldi giovani che mi correvano appresso.
E la palla medica giù nel magazzino che invece nemmeno mi degnava di uno sguardo…strana la vita eh?
Agile passavo da un piede all’altro, leggiadra e contenta.
L’impatto con la rete poi… un sogno.
Come una tazza di acqua fresca quando stai boccheggiando dal caldo.
Un sollievo, una carezza inaspettata.
A volte persino arrossivo al tocco delicato delle forti mani del portiere di turno (capirete bene che non posso esprimere le mie preferenze data la posizione che ricopro.).
Ma da un pò di tempo tutto è cambiato.
In un anticipo giocato di sabato sera, buttata da una parte all’altra del campo come sempre, ero finita per la prima volta sugli spalti.
Nessuno era venuto a recuperarmi.
Un ragazzino timido si era avvicinato ma aveva desistito data la vicinanza di un poliziotto.
E così quella volta mi ero goduta lo spettacolo quasi per intero.
Ferma e in pace.
Vedevo le mie otto compagne che si avvicendavano affannandosi in cerca di gloria.
Volevano il contatto con la rete o la carezza del portiere.
Senza tregua.

A bordo campo si respira un calcio diverso.
Non lo sai finchè non provi.
Cambia la visuale,il punto d’osservazione.
Vedi cose che da dentro, mentre giochi, mentre corri, ti scivolano addosso,perchè corrono veloci con te.


Finta la partita c’era stata un po’ di baraonda tra i tifosi e con un incurante calcetto qualcuno mi aveva ributtato in campo.
Uno dei raccattapalle mi aveva raccolto e riportato a casa.
Sana e salva, ma con una coscienza diversa.
Forse avrei voluto che quel ragazzino mi prendesse e mi portasse con sè.
Ma mi avevano riportato al mio magazzino.

Ed eccomi qui. Anche in questa domenica.
Di nuovo per un secondo a centrocampo e poi sballottata da una parte all’altra da calci più o meno vigorosi che raccontano di problemi ai polpacci, alle ginocchia e di altre varie magagne di salute dei giocatori.
Risucchiata da un meccanismo di emozioni che nessuno riesce a comprendere fino in fondo.
A volte chi è seduto sugli spalti ad osservare vorrebbe scendere in campo per tirare quattro calci alla palla e provare a fare goal. Poco importa se non ci riesce, quanto meno ci ha provato.
E chi è in campo invece, e corre e corre, si affatica , e cade e si rialza, e tira calci alla palle e prova a fare goal e a volte ci riesce, forse non ci pensa nemmeno a sedersi sugli spalti ad osservare la partita.
Forse invece vorrebbe ma pensa sempre che non sia ancora arrivato il momento di fermarsi e godere dello spettacolo.
Rimanda ad un prossimo futuro quello che dovrebbe probabilmente gustare nel suo presente.
Io questo l’ho capito quel sabato sera degli spalti.
Del resto non si può vivere in panchina tutta una vita, o stare sempre seduti ad osservare gli altri che mettono a segno il nostro goal.
Ma nemmeno si può vivere una vita a centrocampo, tra gli incitamenti dei tifosi e sotto i riflettori di una domenica qualunque.

Finita la partita di oggi.
Anche questa domenica è passata.
Ho fatto il mio lavoro, in sintonia con i piedi degli altri e alla fine di tutto mi hanno riportato al mio posto, come sempre.
Non sono io che scelgo se scendere in campo oppure no. Se giocare oppure no.
Non posso decidere di rimanere accoccolata a bordo campo, senza entrare.
Ma voi che potete, fatelo!




[Il racconto è stato pubblicato nell'Anthology "La palla è rotonda" - AA. VV. edito da LAB (Prima edizione Luglio 2008)]

1 Comment:

Anonimo said...

brava Manu...scrivere è un dono ed una magia proprio nello stesso modo la trovi nella musica...continua così
baci
Claudiosax